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‘A PIGGHJÁTA

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Dubito che siano in molti a ricordare la Pigghjàta perchè fu mandata in scena l’ultima volta nel 1933. La Pigghjàta era la rappresentazione teatrale della Passione di Cristo, ripetuta solo ogni sette anni perchè richiedeva una preparazione talmente elaborata da rivaleggiare con le famose epiche di Cecile B. Demille.

La Pigghjàta andava in scena il mercoledì della Settimana Santa. Il palcoscenico era praticamente l’intero paese ma le scene principali si svolgevano in Pian Castello. Palchi provvisori erano costruiti ai due lati della piazza per accomodare gli spettatori che arrivavano dai paesi circostanti. Il Golgota (il colle su cui fu Crocifisso il Cristo) era vicino Palazzo Jannone era costituito da tre croci, al centro era Gesù ai lati i due ladroni.

Le croci erano grandi ed erano costruiti in modo da poterle smantellare e conservare per la rappresentazione successiva. Dato che tanto il Cristo quanto i ladroni dovevano passare quasi un ora sulla Croce la trave verticale aveva due blocchi di legno di modo che gli attori potevano sedersi e mettere i piedi sul poggiapiedi; la trave orizzontale aveva due maniglie per le mani. Tutto era disegnato per dare l’illusione che veramente erano crocifissi.

Il catùaju di fronte al negozio dei Colabbàti era la dimora di Caronte; accanto vi c’era il pollaio, per l’occasione avvolto da nuvole di fumo, che rappresentava l’Inferno. Vicino a negozio di Adolfo c’era allora un albero di acacia, dal quale Giuda si sarebbe impiccato. Fino al giorno in cui lasciai l’Italia era chiamato l’àrvuru e Juda (l’albero di Giuda). La Crocifissione avveniva al Golgota e quando il Cristo era rimosso dalla croce la folla si dirigeva verso Golgota e piangeva con Maria, Maria Maddalena etc.

Il Cristo era calato nel Sepolcro e così cominciava la Settimana Santa. Il giovedì e il venerdì il Cristo morto era portato nta naca (come avviene ancora oggi) tra i vinìaddhi do’ pajìsi (i vicoli del paese). Sabato era il giorno da’ Glùaria e la domenica a Cumprunta. Per via della guerra la Pigghjàta non fu messa in scena nel ’40 ma fu tuttavia recitata sul palcoscenico all’Oratorio con i costumi originali e seguendo fedelmente il copione.

Io avevo la parte di San Giovanni. Questi erano i membri del cast: Enzo Carioti (Panzareddha) era Gesu’; Nicolino Romeo era Cafae, Bruno Lijoi era Pilato; Nicolino Calabretta era la Vergine (non era d’uso la presenza di donne nella recita); mio zio Vincenzo Iorfida interpretava sia Erode che Giuda; Paolo Carioti (Pavulu ‘na pipa) era Caronte, Peppino Valenti era il diavolo principale; Nicola Calabretta (marito di Orlandina) era il Cireneo; Bruno Dominijanni era il Ciculanginu (l’uomo che aveva inchiodato Gesu’ sulla Croce). Molti altri avevano il ruolo di soldati e centurioni romani e la folla era troppo numerosa per poterla elencare.

Così e’ finita una parte del nostro meraviglioso passato e della nostra gloriosa cultura! Alcuni dei vecchi attori che avevano partecipato alla produzione del 1933 ci hanno lasciato ma devono restare vivi nella nostra memoria:
Bruno Calabretta (Brunu e Marantonuzza) nelle vesti di Gesu’; Bruno Stillo (Brunu e Cola e Palìaddhu) come Giuda che fu poi rimpiazzato da mio zio nella produzione del 1933 e quella del 1945. Pavulu’ na pipa e’ u Pachie facevano parte sia della recita del 1933 che quella del 1945. Responsabile della memorabile produzione e dei costumi era l’insegnante Ettore Calabretta. Dobbiamo mantenere vivo il passato in modo che le nuove generazioni sappiano da dove vengono. Io non propongo di vivere nel passato, ma e’ necessario sapere dove siamo stati per poter capire dove stiamo andando.

L’ autore: Angelo Iorfida

Canton, Ohio U.S.A. Marzo 2000


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